Simonetta Betti

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Il Mantello di Arlecchino: Siamo uno o siamo tanti?

La cosa che mi colpì di più quando partecipai alla formazione di Ipnosi Regressiva alle Vite Precedenti con Brian Weiss fu l’utilizzo che ciascuno di noi fece della memoria. Dopo due giorni di introduzione teorica al tema della Regressione alle Vite precedenti e alla pratica guidata di gruppo per l’attivazione dell’immaginario , finalmente arrivò la parte esperienziale con demo su partecipanti volontari che presentavano problemi psicologici e psicosomatici non risolti attraverso la psicoterapia. Durante queste demo ebbi modo di capire quanto fosse competente Weiss sia come psichiatra sia come psicoterapeuta: le sue domande, una volta che il ‘paziente’ era in trance, non lasciavano spazio a generalizzazioni, erano taglienti, acute, mirate, tese a raggiungere le origini del problema e ad elaborarlo anche attraverso la produzione di intense manifestazioni emotive.

Gli ultimi due giorni iniziò il lavoro regressivo di gruppo. Eravamo una novantina di persone, di tutte le età e di varia provenienza, riunite in un grande salone, comodamente sedute o sdraiate. Dopo un minuto di totale silenzio iniziò una musica dolce che ci accompagnò durante tutta l’esperienza mentre la voce calma e profonda di Weiss evocando immagini e sensazioni ci portò fuori dal contesto in cui eravamo. Venimmo ‘sprofondati’ dentro noi stessi, ed ognuno di noi attraversò altre dimensioni per poi ritrovarsi in tempi anche molto lontani ed in un altro corpo.  Furono momenti di emozioni profonde alternati da un’intensa e talora dolorosa consapevolezza.

Qualcosa di molto diverso da quanto avviene durante una seduta di ipnosi regressiva, Weiss non stava chiedendo di ripescare un evento infantile rimosso, ma di allargare gli orizzonti della memoria somatopsichica e di lasciare spazio ad un “me” che ci avrebbe aiutato a comprendere ed anche a risolvere un nostro problema attuale.

L’elaborazione di gruppo al termine della pratica fu qualcosa di molto speciale, difficile o forse impossibile da raccontare. Un’esperienza che mi è entrata nei muscoli e nel sangue e rimarrà per sempre nel mio cuore e nel mio cervello.

Qualche mese dopo il mio rientro dagli Stati Uniti lessi il libro di Michel Serres Il Mantello di Arlecchino in cui lo scrittore rappresenta la nostra identità come un collage: “pezze multicolori, annodate, nuove pezze, nuovi brandelli, zebrate, cangianti, costellate…ed ognuno di noi porta più strati di un simile mantello”. 

E poi, gennaio 2024 incontro su Mind questa frase dello psicologo tedesco Eric Lippman , docente di psicologia applicata, che lavora sulla gestione del cambiamento “Io credo che non abbiamo solo un’identità, credo che abbiamo una squadra. A seconda della situazione si farebbero sentire le diverse voci della nostra interiorità. Queste voci sono il risultato dello sviluppo della persona, dell’educazione, dei genitori, sono voci che l’individuo ha sentito e raccolto. Emergono durante episodi importanti e spesso ci accompagnano per tutta la vita”.

Il nostro lavoro di psicoterapeuti serve ad aiutare i nostri clienti a conoscere queste parti di sé , senza smarrirsi,  e rimanendo ben ancorati ad  “un centro di gravità permanente”.

 

Sono stata all’Omega Center a Rhinebeck, Stato di New York ,nel settembre 2016.